QUANDO A VENEZIA SI GIOCAVA ALLE RACCHETTE
di Barbara Meletto (barbarainwonderlart.com)
Il tennis non è certamente il primo sport che viene in mente quando si parla di Venezia, ma forse non tutti sanno che la città lagunare vanta una lunga tradizione al riguardo.
LA STORIA
Nel 1555 venne pubblicato a Venezia il “Trattato del giuoco della palla” di Antonio Scaino, uno dei primi esempi di manualistica sportiva. Il gioco descritto dallo Scaino si praticava con una palla, delle racchette e una rete: era il jeu de paume o pallacorda, l’antenato del moderno tennis, molto in voga tra i ceti sociali più elevati.
Lo spunto per la composizione del testo fu una partita disputata dall’autore contro il duca Alfonso II d’Este e la discussione che ne era sorta per “uno puntiglio avvenuto giocando.” La necessità di codificare delle norme precise divenne l’occasione per un’indagine più ampia sulle implicazioni sociali, culturali e politiche legate a questo gioco: non semplice “intertenimento”, ma metafora di una contesa più alta che è quella della vita. Scaino, infatti, non solo fornì un’analisi puntuale delle regole, ma le combinò con interpretazioni educative: il gioco della racchetta esaltava numerose qualità cavalleresche e si presentava come ottima metafora della strategia militare.
Era il periodo di massimo splendore di questa disciplina, considerata come roi des jeux et jeu des rois (re dei giochi e gioco dei re): una pratica che manteneva il corpo in forma e consentiva di affinare l’ingegno.
Nelle corti di tutta Europa c’era uno spazio dedicato all’antico tennis: dai Tudor agli Hapsburgs, dai Medici ai Gonzaga, dagli Sforza ai duchi di Montefeltro, tutti amavano questo sport.
Anche Venezia non si sottrasse a questa moda ma, data la sua natura di Repubblica, estese il gioco della palla a tutte le classi sociali: il ceto civile si radunava in Calle dei Botteri a San Cassiano, i patrizi “prima di metter veste”, ossia prima di compiere i venticinque anni, si trovavano ai Birri, mentre la “gente ordinaria” preferiva la Calle Lunga tra San Felice e Santa Caterina.
Nella toponomastica veneziana rimane testimonianza di questa usanza; in contrada San Felice una calle, un ponte, un rio e un sottoportico, prendono il nome proprio dal nostro gioco della “racheta”.
IL DIPINTO
Alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia è conservato un dipinto di Gabriele Bella intitolato “Il gioco della racchetta”, del 1770 circa. L’opera raffigura uno spazio chiuso, affiancato da due gallerie gremite di spettatori, dove si sta disputando un doppio.
Il campo, suddiviso da una rete, consentiva al pubblico di assistere da vicino alla partita: gli spettatori potevano sentire ogni suono ed esclamazione dei racchettieri, erano in grado di valutare ogni tiro messo a segno e avevano la possibilità di influenzare, con commenti malevoli o incitamenti, l’andamento del game. Il clima era decisamente “caldo”, anche perchè il gioco dava origine a scommesse importanti e a dispute assai accese.
Molto probabilmente il luogo ritratto dal Bella era un famoso campo che si trovava nelle Fondamenta Nuove, in un edificio tuttora esistente.
Se all’origine i campi da gioco erano all’aperto, con il passare del tempo si cercarono superfici delimitate da muri, in modo da sfruttare il rimbalzo della palla. Questi campi coperti, di dimensioni variabili – potevano essere lunghi anche trenta metri – si diffusero un po’ in tutte le città.
A Venezia il primo terreno da gioco al chiuso risale al 1595 e si trovava a Canareggio, nelle Fondamenta Nuove, dietro al monastero di Santa Caterina, ed era di proprietà delle “reverende Madre”.
Nella stessa zona, circa vent’anni dopo, fu aperto un altro campo in un edificio che prima era stato un teatro. Questa seconda corte fu gestita da un famoso tennista, tale Pasquale Cicogna. Secondo un manoscritto conservato alla Marciana, “sul campo di Pasquale, giocarono Ambasciatori e Nunzi pontifici, Carlo VI e Carlo VII, il Re di Polonia, il Re di Danimarca, gli elettori di Magonza e di Baviera e il giovanetto Federico Augusto di Sassonia, il più bravo di tutti, e anche il più generoso perché, ogni giorno, dava quattro ducati di mancia al custode del campo … […].”
Il quadro di Bella ci offre uno spaccato della vita veneziana del tempo, ma è anche un prezioso documento che ci consente di ricostruire la storia di questo sport tanto affascinante quanto antico.
“Quando opporremo a queste palle le nostre racchette ci giocheremo in Francia, a Dio piacendo, una tale partita che la corona di suo padre finirà fuori gioco. Ditegli che ha scelto di cimentarsi con un avversario che metterà sottosopra tutti i campi di Francia.” (William Shakespeare, “Enrico V”, atto I, scena II, 1598-1599)