Quando il tennis si veste di rosa
di Barbara Meletto (barbarainwonderlart.com)
Nel mondo del tennis, come per gli altri sport, è presente una categoria riservata esclusivamente alle donne; fu proprio il tennis, assieme al golf, ad introdurre per primo la specialità femminile nel 1900, in occasione dei giochi olimpici di Parigi. Una disciplina aristocratica nei gesti, ma sicuramente democratica nella partecipazione!
LA DIVINA SUZANNE LENGLEN
La prima donna a diventare una professionista della racchetta, ancora oggi considerata una delle migliori giocatrici di tutti i tempi, fu Suzanne Lenglen, in onore della quale, nel 1997, venne rinominato il secondo campo del Roland Garros.
Non bella nel senso convenzionale del termine, ma dotata di un fascino magnetico, la Lenglen sdoganò il tennis dai circoli esclusivi dell’upper class e si servì della sua notorietà per migliorare il gioco.
“In base alle regole assurde e antiquate del dilettantismo” – sosteneva – “solo i ricchi possono competere, e infatti solo i ricchi competono. È forse un progresso per lo sport? Rende davvero il tennis più popolare? O tende solo a sopprimere, a nascondere, un’enorme quantità di talento nascosto in giovani uomini e donne che non fanno parte dell’élite?” Grazie alla nostra eroina, il tennis non è più stato lo stesso.
Nata a Parigi il 24 maggio del 1899, venne iniziata al tennis dal padre, Charles Lenglen, ricco proprietario di un’azienda di trasporti. Gli allenamenti massacranti a cui la sottoponeva diedero presto i loro frutti: a quattordici anni Suzanne fu finalista dei Campionati di Francia e, pochi mesi dopo, divenne campionessa mondiale di terra battuta.
Alla fine della sua carriera la Lenglen poteva fregiarsi di venticinque vittorie nel Grande Slam, in singolare e in doppio, e della medaglia d’oro olimpica, conquistata ai Giochi di Anversa del 1920.
Fino ad allora il tennis femminile suscitava poco interesse, ma ella divenne rapidamente la principale stella di questo sport: per vederla in azione si facevano le code e i biglietti andavano subito esauriti. Il suo gioco era forte e rapido, ma nello stesso tempo preciso e leggiadro; si muoveva nel campo con la delicatezza di una ballerina, assestando colpi di una potenza micidiale.
La Lenglen non si fece notare solamente per le sue doti sportive, fu infatti la protagonista del primo fashion scandal nella storia del tennis.
Correva l’anno 1919, dopo i quattro anni d’interruzione dovuti alla guerra, si ritornavano a disputare i campionati di tennis e la ventenne Suzanne si apprestava a sbaragliare Wimbledon, portando a casa la vittoria nel singolo e nel doppio femminile.
Non fu però tanto la sua abilità sportiva, quanto il suo sconcertante abbigliamento, ad infiammare il pubblico inglese: smesso il rigido corsetto, la camicetta a maniche lunghe e la castigata gonna alle caviglie, la Lenglen si presentò in campo a braccia scoperte, indossando una gonna a pieghe che le arrivava al polpaccio e sfoderando audaci calze di seta appena sopra il ginocchio. La stampa la bollò come “indecente”, ma lei non se ne curò; il suo gesto libertario riscrisse la storia di tutti i look di Wimbledon a venire.
Le sue mise, accuratamente studiate dal couturier parigino Jean Patou, fecero subito tendenza, tanto che diede il nome a diversi accessori di moda, come la “Lenglen bandeau” (fascia per capelli) e le “scarpette Lenglen”, in riferimento alle calzature con suola di gomma che indossava al posto degli stivaletti tradizionali.
Rivoluzionaria e non convenzionale, brillante dentro e fuori dal campo, la Lenglen fu il personaggio femminile più ammirato, idolatrato ed imitato dell’epoca.
Morì molto giovane, come chi è caro agli dei. Si spense a Parigi il 4 luglio 1938, lasciando dietro di sé gli echi di una leggenda.
IL DIPINTO
Suzanne Lenglen si affermò nei ruggenti anni Venti, divenendo il simbolo vivente dell’emancipazione femminile.
Il suo aspetto androgino, il taglio di capelli alla garçonne, l’abitudine a sorseggiare del brandy ai cambi campo, erano perfetta espressione dello spirito del tempo.
Dopo i drammi della Grande Guerra, imperversava in tutta Europa un’euforia collettiva, una frenetica joe de vivre dove la modernità irrompeva con le sue luci: l’automobile, il cinema, il jazz, i night club, e soprattutto una ritrovata consapevolezza dell’essere donna.
Un dipinto di Lotte Laserstein del 1929, intitolato “La giocatrice di tennis”, ci restituisce l’immagine di questa nuova donna, forte e determinata, una donna urbana, molto popolare e dedita allo sport. La giocatrice ritratta dalla Laserstein, tuttavia, non è in azione, ma è seduta, in una posa che ricorda le illustrazioni di moda sportiva presenti nelle riviste; una rappresentazione glamour a testimonianza di come le donne abbiano ammantato lo sport di una grazia fino ad allora sconosciuta.
Il corpo atletico, la maglietta senza maniche, la gonna che lascia scoperte le gambe, rispecchiano perfettamente gli abiti rivoluzionari della Lenglen. Anche la fantasia delle vesti ricorda certi capi dai colori Art Déco indossati da Suzanne, che osò sfidare il codice non scritto del total white sul campo da gioco.
Fonte d’ispirazione per l’autodeterminazione femminile, incarnata oggi da una Serena Williams, dobbiamo essere grati alla Lenglen dell’attuale fisionomia di Wimbledon.
È per lei che venne costruito il Central Court. La prima sede del torneo, a Worple Road, non bastava ad ospitare tutti i tifosi che volevano vederla.
È per lei che i Championships si trasferirono a Church Road nel 1922; e sempre per lei, per arginare il suo dominio senza precedenti, Wimbledon abolì il Challenge Round: da quel momento il campione in carica iniziava dal primo turno, come tutti gli altri.
Diva e Divina, dea a rete – fu la prima donna a schiacciare con la racchetta sopra la testa – Suzanne Lenglen ha vinto tutto, ha imposto nuove mode, si è concessa vizi e capricci, arrivando a sfidare perfino la regina d’Inghilterra: un’influencer ante litteram, che ha calcato i campi da tennis con la bellezza e la dannazione di una rock star.