Dal Danubio allo Yarra. Storie Balcaniche a Melbourne
di Ilvio Vidovich
Nel parlare di sport internazionale, spesso uno degli argomenti sono i grandi risultati a livello sportivo ottenuti prima dalla Jugoslavia e poi dai vari stati nati dalla sua dissoluzione. Soprattutto in considerazione del fatto che ad ottenerli è un insieme di paesi che conta complessivamente meno di venti milioni di abitanti, circa un terzo dell’Italia. Da diversi anni – soprattutto dagli anni Novanta: basterà ricordare i nomi di Monika Seles e Goran Ivanisevic – anche il tennis ha iniziato a parlare con costanza gli idiomi dei Balcani occidentali. Da una dozzina d’anni il merito va in primis al 17 volte campione Slam Novak Djokovic. Ma non solo, dato che da quelle parti un paio di trofei Slam dal 2008 ad oggi sono arrivati anche per altre vie (leggasi Ana Ivanovic e Marin Cilic) e considerato che ormai è da un po’ che la pattuglia dei rappresentanti di quelle zone si presenta numerosa ai nastri di partenza degli Slam.
Non ha fatto eccezione l’Australian Open di quest’anno, che complessivamente nei due main draw dei tornei di singolare maschile e femminile ha visto al via diciotto atleti nati e cresciuti tra il Danubio e l’Adriatico. Guardando i risultati, non si è trattata di una delle migliori spedizioni di sempre, sebbene l’ottava vittoria di Djokovic in sedici partecipazioni sul cemento australiano abbia fatto passare in secondo piano le prestazioni non eccelse degli altri. Un dato su tutti: oltre a Nole, solo Marin Cilic è riuscito a raggiungere il quarto turno. Ma ciò non toglie che ci siano comunque delle storie da raccontare sullo Slam “Down Under” dei giocatori balcanici protagonisti degli scatti fotografici di Roberto Dell’Olivo.
Partendo proprio dal citato Marin Cilic, che è arrivato agli ottavi ma non è andato oltre, fermato in tre set dai missili di servizio del canadese (ma nato in Montenegro, tanto per rimanere in zona Balcani) Milos Raonic. Una sconfitta che crediamo però il vincitore degli US Open 2014 abbia dimenticato molto più in fretta del solito, dato che qualche giorno dopo a Zagabria è nato il suo primogenito, Baldo. Rimanendo in campo croato, non si può non menzionare l’exploit dell’eterno Ivo Karlovic, che a quasi 41 anni (li avrebbe compiuti da lì a poco, il 28 febbraio) è diventato il primo over 40 a giocare e a vincere un match nel main draw australiano da Ken Rosewall nel 1978. Per poi uscire con l’onore delle armi contro la tds n. 10 Gael Monfils, battuto 7-5 al quarto dopo aver avuto un set point nel secondo parziale che poteva portarlo a condurre due set a zero.
Ma a Melbourne c’era soprattutto tanta Serbia. Sia sugli spalti (la comunità serba è numerosa in Australia), sia in campo, dove nel tabellone maschile erano in cinque, Djokovic compreso. In particolare c’erano tutti quelli che insieme al fuoriclasse di Belgrado avevano conquistato pochi giorni prima a Sidney la prima edizione della ATP Cup. Nole era stato l’artefice principale della vittoria, imbattuto negli otto incontri disputati tra singolo e doppio. Ma aveva fatto il suo dovere da secondo singolarista anche Dusan Lajovic, soprattutto con le vittorie contro Auger-Aliassime nei quarti e Khachanov in semi. Che a Melbourne si è dovuto però inchinare al terzo turno alla solidità di Schwartzman, che lo eliminava in tre set. Sconfitta che ha lasciato un po’ di amaro in bocca al 29enne allievo di José Perlas per i tre set point non sfruttati nel tie-break del terzo. In particolare per quello sul suo servizio, con quella prima chiamata erroneamente “out” del giudice di linea che ha dovuto ripetere. Curiosamente, a “vendicarlo” ci ha pensato al turno successivo proprio Djokovic, quasi ci fosse un file rouge ad intrecciare le vicende dei tennisti serbi tra ATP Cup e Australian Open.
Un filo rosso che a Melbourne è passato anche per le qualificazioni maschili, dove al secondo turno si è ritirato – dopo aver vinto il primo set – quel Viktor Troicki che in coppia con Novak aveva conquistato il punto decisivo in finale contro la Spagna. Sì, proprio quel Troicki che poco più di un mese prima, sprecando due match point, aveva invece condannato la sua nazionale alla sconfitta in Davis nei quarti contro la Russia. Finendo poi in lacrime in conferenza stampa come quasi tutto il resto della squadra, giunta a Madrid con l’obiettivo ed il desiderio di permettere al 35enne connazionale Janko Tipsarevic – ex n.8 del mondo, una carriera costellata da infortuni – di dare l’addio al tennis conquistando per la seconda volta l’insalatiera. Un Tipsarevic che abbiamo ritrovato a Melbourne nelle nuove vesti di coach del connazionale Filip Krajinovic, uno di quelli più affranti a Madrid. Il suo supporto non ha evitato però all’attuale n. 32 ATP di subire al secondo turno una lezione pesantissima (solo sei game conquistati) da Sua Maestà Roger Federer. Nonostante proprio contro Federer a Melbourne, nel 2008 (curioso, stiamo parlando del primo Slam vinto da Nole: eh, il file rouge serbo… ), Janko disputò uno dei migliori match della sua carriera, arrendendosi solo per 10-8 al quinto al fuoriclasse di Basilea. Che peraltro da qualche anno ha deciso di proseguire la sua carriera deviando anche lui lungo la rotta balcanica, visto che il suo coach è Ivan Ljubicic, l’ex tennista croato n. 3 del mondo nel 2006. “Il primo degli umani” si disse al tempo, poiché “Ljubo” aveva davanti due fenomeni: Federer stesso e Rafa Nadal. Il terzo stava arrivando, dato che in quello stesso anno il 19enne Djokovic vinse i suoi primi due tornei ATP e fece il suo ingresso nella top 25, da dove non sarebbe più uscito.
Arrotolato il filo rosso serbo, concludiamo le nostre storie tornando in Croazia, dato che in campo femminile chi si è spinta più avanti di tutte è stata Donna Vekic, unica delle otto giocatrici provenienti dai Balcani a raggiungere il terzo turno. Non un grande risultato per la 23enne di Osijek, sconfitta dalla 18enne promessa polacca Iga Swiatek e dall’incapacità di cogliere le occasioni in quel match (1/9 sulle palle break), che confidava nello Slam australiano per cominciare con il piede giusto la sua scalata verso la top ten. Crediamo perciò che, sebbene fosse passato nel frattempo più di un mese, non sia stato di particolare consolazione per la n. 24 del mondo scoprire che la sua vittoria al primo turno resterà comunque nella storia del tennis, dato che è quella che ha chiuso la carriera di una campionessa come Maria Sharapova. Masha, cinque titoli Slam in bacheca, ha detto basta a 32 anni (diventati 33 lo scorso 19 aprile), stanca di combattere con i tanti acciacchi fisici che l’hanno tormentata nel corso della carriera. Ma questa è un’altra storia, che magari le foto di Roberto consentiranno di raccontare in un’altra occasione.