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La strada di Camila

Le hanno detto di tutto. Che era troppo carina per giocare bene a tennis, che suo padre l’aveva rovinata. Addirittura che il suo era “un caso da telefono azzurro”.
E poi, la solita solfa del tennis senza piano B, dei punti giocati tutti uguale, di quel suo approccio naïf, senza un sorriso, senza un’emozione, senza passione per il tennis ma solo come un compitino da svolgere per portare a casa la pagnotta.
Le hanno addirittura rimproverato il suo essere femminile in alcuni post su Instagram o la sua promozione di un marchio di abbigliamento di famiglia. Una carriera bruciata, un talento sprecato.
Senza mai porsi la domanda di cosa ci fosse dietro quel viso all’apparenza imperturbabile e quelle risposte telegrafiche in sala stampa. Un vissuto difficile, un’adolescenza segnata da una tragedia familiare che non può non lasciare traccia e unire in un vincolo indissolubile chi resta e continua a combattere.
Camila ha sempre preso a pallate ogni cosa le sia capitata a tiro: le avversarie, anche le più forti, la federazione che l’aveva di fatto bandita, e spesso anche la logica del tennis dove nel 90% dei casi vince chi sbaglia di meno.
Ma le vie del talento sono spesso tortuose e imprevedibili, con esplosioni improvvise quando si ha quasi smesso di crederci.
Anche se, chi la osserva con attenzione da anni, si era accorto che qualcosa stava cambiando nel suo modo di porsi in campo e non solo. È passata da sconfitte brucianti sulla terra rossa dopo anche tre ore di lotta ad inizio estate: è lì che cominciava a montare il magma di un’imminente eruzione.
Ora che ha vinto a Montreal un torneo 1000, il più importante della carriera (solo Flavia Pennetta ha vinto un torneo di pari livello in Italia) l’italico vizio di arrampicarsi sul carro del vincitore si è manifestato nella sua completezza. Il principale dei suoi detrattori (in rigorosa diretta tv) si è detto addirittura felice per la sua famiglia.

Quando Flavia Pennetta a marzo 2014 all’età di 32 anni vinse Indian Wells, si pensó che fosse l’acuto di una grande carriera avviata verso il tramonto: ricordiamo tutti cosa accadde nel 2015 agli Us Open. Francesca Schiavone ha vinto il Roland Garros a 30 anni. Camila Giorgi ha 29 anni e mezzo e – soprattutto – nel circuito femminile non ci sono fenomeni come le Williams dell’epoca, Sharapova, Henin Cljsters…
Certo, Schiavone e Pennetta ebbero una crescita più graduale, sono state in top-20 per anni e mancava solo l’ultimo salto di qualità che arrivó verso i 30 anni (lo stesso vale per Roberta Vinci), mentre Camila sembra esplosa all’improvviso. Ma non tutti maturano allo stesso modo e con la stessa velocità…
La ragazzina che nelle qualificazioni di Roma a 15 anni ci folgoró per la fluidità di movimento, il timing sulla palla e la potenza dei colpi pur con un fisico minuto, è finalmente cresciuta. Da un anno e mezzo, pur con la sospensione per la pandemia e qualche infortunio di troppo, ha cominciato a giocare un tennis più “ragionato” ed eccoci qua…
I sapientoni del webtennis dicono che con un allenatore diverso da papà Sergio, Camila avrebbe fatto sfracelli. Dimenticano che Sergio è innanzitutto un preparatore atletico e basta guardare come si muove Camila ed il suo gioco di gambe per capire quanto influisca sul suo gioco.
Il discorso va totalmente rovesciato: senza papà Sergio, Camila non avrebbe giocato a tennis e non sarebbe arrivata lì dov’è ora.
E magari, il meglio deve ancora avvenire.

GALLERY made by Roberto Dell’Olivo © RDOSPORT  Ogni diritto riservato. Per un eventuale utilizzo vogliate contattare l’autore

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