SHOCKING WIMBLEDON
di Barbara Meletto (barbarainwonderlart.com)
La storia di una società si riflette nel suo sistema politico, nella sua struttura economica, ed anche nel modo in cui organizza il suo tempo libero. Lo sport rappresenta molto di più di un semplice passatempo, è parte integrante della cultura del popolo che l’ha prodotto. Anche un torneo di tennis può dunque raccontare storie che affondano le loro radici in un sistema di valori diffuso e condiviso.
“Fatta eccezione, forse, per la sala da pranzo di mia madre, non vi è niente di più ordinato, al mondo, di Wimbledon. Anzi, a essere precisi non è neanche una questione di ordine: è piuttosto l’inaudita pretesa di ricondurre a una disciplina certa ogni frammento della realtà, che siano i fiori di un’aiuola o il flusso di migliaia di persone quando parte l’acquazzone.” (Alessandro Baricco)
LE DONNE A WIMBLEDON
Non esiste nulla di così inglese come Wimbledon, massima espressione di quell’Inghilterra austera e rigorosa della tarda età imperiale.
Fondato nel 1877 da un manipolo di appassionati, esso contribuì alla diffusione del tennis anche al di fuori dei confini del Regno Unito. All’inizio la manifestazione era riservata agli uomini: fu solo nel 1884 che si consentì l’accesso alle donne. La prima donna a fregiarsi del titolo di campionessa fu Maud Watson, figlia del vicario di Berkswell, che sconfisse la sorella Lillian nell’ultimo match – una particolare coincidenza che si è ripetuta nel 2001 nella finale tra Serena e Venus Williams.
Il fatto non destò grande attenzione nella stampa del tempo, interessata di più all’elevato stato sociale della ragazza che al suo reale valore sportivo. Ma queste pioniere del tennis meritano di essere ricordate come vere e proprie eroine, solo se si pensa al grande handicap con il quale erano costrette a giocare, ossia l’ingombrante abbigliamento.
Il dress code femminile prevedeva che le braccia dovessero essere coperte e le caviglie nascoste da lunghi abiti; ad aggravare gli indumenti si aggiungevano delle sottovesti inamidate, per dare forma alla gonna, ed un corsetto, per mantenere la figura a clessidra. Stivali con i tacchi, un colletto rigido e un cappello a tesa larga, completavano la mise sportiva: una vera e propria tortura!
È evidente che l’emancipazione del tennis femminile doveva passare attraverso la moda!
LILĺ DE ÁLVAREZ
Siamo nel 1919 e, dopo i quattro anni d’interruzione imposti dal primo conflitto mondiale, si ritorna ad imbracciare le racchette sui prati di Wimbledon. Nel singolo e nel doppio femminile trionfò la francese Suzanne Lenglen, la quale inaugurò il primo scandal fashion nella storia del torneo. Dismessi corsetti e crinoline, la Lenglen si presentò in campo con una gonna al polpaccio e con le braccia scoperte. Apriti cielo! Le reazioni negative furono numerose, ma anche le seguaci del Legnlend style non mancarono di far sentire la loro voce.
Bisognerà attendere una decina d’anni, per vedere nuovamente in fibrillazione il compassato parterre di Wimbledon. Questa volta fu una spagnola, Lilí de Álvarez, a seminare scandalo con delle spudorate culottes.
Elia María González-Álvarez y López-Chicheri, questo il nome completo, nacque per caso all’Hotel Flora di Roma il 9 maggio 1905 da una famiglia dell’alta borghesia. Dal padre ereditò l’amore per lo sport: equitazione, golf, scherma, sci alpino, pattinaggio su ghiaccio, automobilismo, furono alcune delle specialità in cui si distinse con risultati più che eccellenti. Chiamata a partecipare ai primi Giochi Olimpici Invernali di Chamonix nel 1924, in seguito ad un infortunio fu costretta a concentrarsi sul tennis, sport che abbandonerà definitivamente nel 1941.
“Sono stata tre volte finalista a Wimbledon, qualcosa che nessun maschio spagnolo è mai stato. Il tributo che non mi riconoscono in Spagna mi viene riconosciuto lì.” (Lilí de Álvarez in un’intervista rilasciata al giornalista Antonio Domínguez Olano nel 1988)
Il suo carattere temerario e coraggioso si dimostrò anche nello sfidare un radicato pregiudizio culturale, ossia quello dei pantaloni, capo ad uso pressoché esclusivo degli uomini. Complice l’estro della stilista Elsa Schiaparelli, la Álvarez partecipò ai The Championships del 1931 con un’audace, ma assai pratica, gonna pantalone.
Quell’anno la señorita, come veniva simpaticamente appellata, non arrivò nemmeno in semifinale, ma conquistò Wimbledon con la grazia della sua figura abbigliata in quel modo così inconsueto.
“Se una donna osasse comparire a Wimbledon con una gonna pantalone dovrebbe essere severamente punita.” (Da una lettera di una lettrice al “Daily Express” del 1930)
IL DIPINTO
Tra critiche e polemiche il tennis femminile cresceva e cominciava a guadagnarsi i suoi primi sostenitori. A riprova di ciò, oltre ai numerosi articoli sulle principali testate giornalistiche, ci sono giunte diverse testimonianze figurative.
Sfidando la consueta pruderie inglese, nel 1938 Percy Shakespeare presentò un ritratto alquanto malizioso dal titolo “The Tennis Player” (La giocatrice di tennis), oggi custodito al “Dudley Museum and Art Gallery”.
Ripresa di tre quarti, una donna ci fissa con aria sicura ed altera. Il completino che indossa e la racchetta tra le mani indicano il suo status di tennista. La posa è molto provocante: le gambe accavallate a scoprire una coscia ben tornita.
Sono passati sette anni dalla scioccante gonna pantalone dell’Álvarez e Shakespeare fa indossare alla sua protagonista una minigonna, segno che i tempi stavano rapidamente cambiando, almeno nell’immaginario artistico.
Nella realtà la prima gonna sopra il ginocchio a solcare i campi da tennis fu quella dell’americana Gussie Moran che, nel 1949, sempre durante i campionati di Wimbledon, sfoderò un abitino corto che rendeva visibili le mutandine con i risvolti di pizzo. Accusata dall’All England Lawn Tennis and Croquet Club di aver introdotto “volgarità e peccato nel tennis”, la Moran alimentò un acceso dibattito che giunse fino in Parlamento.
Il processo di rivoluzione del costume non poteva tuttavia essere arrestato, andando di pari passo con l’affermazione della donna nello sport.
Si sbagliava di molto John Newcombe nell’affermare che “a Wimbledon le signore sono semplicemente le candeline sulla torta”; a Wimbledon le donne hanno dimostrato e continuano a dimostrare di essere molto di più che dei semplici orpelli decorativi.
“Il tennis è il primo sport femminile nel mondo, rappresentiamo tutte le donne, e vogliamo vedere riconosciute le nostre ragioni.” (Venus Williams)