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SUA MAESTÀ WIMBLEDON

di Barbara Meletto (barbarainwonderlart.com)

Basta solo il nome a mettere tutti sull’attenti! Intimamente legato ai rituali sociali delle classi superiori, Wimbledon mantiene inalterato il fascino della tradizione, che ne fa il torneo di tennis per eccellenza.

“Il silenzio è quello che ti colpisce quando giochi sul centrale di Wimbledon. Fai rimbalzare la palla lentamente sul morbido tappeto erboso, la lanci in aria per servire, la colpisci e senti l’eco del colpo. E di ogni colpo successivo: clac, clac, clac. L’erba tagliata con cura, la ricca storia dell’antico stadio, i giocatori vestiti di bianco, gli spettatori rispettosi, la venerabile tradizione, nessun cartellone pubblicitario in vista … “ (Rafael Nadal)

Rafael Nadal a Wimbledon foto di Roberto Dell’Olivo

WIMBLEDON, LA GENESI

Wimbledon è il torneo di tennis più antico, il cui nome prende origine dal sobborgo che lo ospita, nella periferia sud-occidentale di Londra.

La sua nascita, il 9 giugno 1877, è del tutto casuale. Al tempo lo sport più diffuso tra la nobiltà inglese era il croquet, praticato nei verdi campi dell’All England Croquet Club. Un giorno uno dei rulli che contribuiva a livellare l’erba dei campi si ruppe. Fu così che, per ovviare alle spese della riparazione, venne organizzato un evento di quella che stava diventando una disciplina assai diffusa: il lawn tennis. La manifestazione si risolse in un successo insperato e diede l’avvio ad un torneo destinato ad entrare nella leggenda.

Quella prima edizione, che contò poco più di una ventina di iscritti, vide il trionfo di Spencer Gore, l’inventore della volée. Fu proprio grazie alle sue originali intercettazioni a rete che si guadagnò il titolo, alimentando una lunga disputa sulla validità di questo colpo, in seguito approvato e regolamentato. Ma siamo solo agli albori. Anno dopo anno su quei campi si è scritta la storia del tennis, tra cambiamenti e rispetto delle consuetudini.

WIMBLEDON, TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE

“Wimbledon è qualcosa di più di un torneo, è una religione. La gente va lì, fa la fila ai cancelli da due notti prima, ma non solo per andare a vedere Nadal piuttosto che Federer. Wimbledon è il Vaticano del tennis. È come per un cattolico andare in pellegrinaggio a San Pietro.” (Gianni Clerici)

Gianni Clerici – foto di Roberto Dell’Olivo

Con l’eccezione delle due Guerre Mondiali e del Covid-19 che ne ha impedito il regolare svolgimento nel 2020, Wimbledon si disputa ogni anno sei settimane prima del primo lunedì di agosto, ne dura due e non si gioca la domenica centrale (Middle Sunday) in onore della Regina, precetto, questo, che è stato infranto in tre casi, quando la pioggia insistente costrinse a giocare anche in quel giorno.

Sono ammessi a varcare i Doherty Gates, così si chiamano i cancelli dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, i giocatori solo se abbigliati in total white. Vengono tollerate delle piccole parti colorate non più larghe di un centimetro. La ragione è puramente estetica: nel bianco non sono visibili le macchie di sudore, snobisticamente ritenute non propriamente chic.

Roger Federer a Wimbledon, ovviamente rigorosamente in bianco ©rdosport

Oltre al bianco che, badate bene, non deve essere un volgare off-white (bianco sporco) o peggio ancora un cream (color crema), i colori dei Championships sono il verde scuro ed il viola. Una squadra di quindici tecnici, a cui se ne aggiungono altri da aprile fino a tutta la durata del torneo, si prende amorevole cura dell’erba, rigorosamente tagliata all’altezza di otto millimetri, e delle piante di Petunia Calibrachoa, aggiunte per dare l’opportuno tocco di viola.

In campo gli atleti sono appellati con il titolo di Gentlemen o semplicemente con il cognome, mentre alle donne ci si rivolge con un Miss o Mrs. Anche se l’inchino al Royal Box nel Centre Court è stato abolito, certi vezzi fortemente aristocratici permangono nel rispetto della forma che deve essere impeccabile. Niente schiamazzi, niente parolacce o imprecazioni. Perbacco siamo inglesi!

Rod Laver seduto nel Royal Box del campo centrale di Wimbledon – foto di Roberto Dell’Olivo

A Wimbledon sono stati banditi pure i volatili. Se sulla Torre di Londra i corvi sono una presenza necessaria, pena la caduta della Casa Reale, a Wimbledon è stato scomodata l’antica arte della falconeria per allontanare dai courts altri scomodi pennuti, in modo da non disturbare il gioco, gli spettatori e preservare intatti i prati. Anche per gli uccelli esiste una scala gerarchica in preciso british style.

In anni più recenti si è aggiunto un altro importante rito: l’omaggio alla statua di Fred Perry, l’ultimo inglese ad aver vinto Wimbledon, addirittura nel 1936, fino alla vittoria dello scozzese Andy Murray nel 2013. Eretta nel 1984 appena fuori dall’ingresso del Centre Court, è divenuta l’icona del torneo: chi non si fa riprendere accanto a quella statua è come se a Wimbledon non ci fosse mai stato!

Ma l’abitudine più golosa, capace di mettere d’accordo tutti, è il classico snack della manifestazione, le strawberries and cream (fragole con panna), il solo momento dove il cream è più che tollerato in campo! Grandi, succose e dolci, le fragole di Wimbledon, sono un retaggio dell’epoca vittoriana: un lusso riservato ai ricchi, parte integrante del tè pomeridiano d’inizio estate. Noblesse oblige

Nella sua apparente immutabilità, Wimbledon è stato capace di rinnovarsi, mantenendo inalterata la sua essenza: sempre uguale a sé stesso anche in ciò che prima non c’era. L’introduzione delle palline colorate, nel 1986, per migliorare la visibilità del gioco, qualche concessione alla pubblicità in modo assai discreto, un enorme roof sistemato sopra il Centre Court per poter giocare anche quando piove, delle piccole grandi novità che lo rendono un baluardo della tradizione al passo con i tempi.

“Non avevo mai realizzato quale fosse il significato di tutto il resto. Niente, e intendo proprio niente, si può paragonare a vincere Wimbledon.” (Andre Agassi)

Andre Agassi a Wimbledon – ©rdophoto

IL DIPINTO

A Lemington Spa, città termale nella contea del Warwickshire, venne istituito, nel 1872, il primo club di tennis sull’erba al mondo, il Leamington Lawn Tennis Club.  

In questa cittadina i membri dell’aristocrazia e dell’alta borghesia solevano andare in villeggiatura, godendo delle proprietà benefiche delle sue acque e dilettandosi con numerose attività sportive. Fu così che un bel giorno il maggiore Harry Gem, per dare una nuova fonte di svago ai facoltosi vacanzieri, decise di sperimentare una versione più semplice del real tennis. Nacque così il lawn tennis, il nostro tennis moderno. 

Ben più antico di Wimbledon è il torneo di Lemington, al quale la storia ha assegnato un ruolo secondario, ma la cui importanza riecheggia ancora nelle testimonianze figurative.

Presso “The Wilson”, la galleria d’arte della città di Cheltenham, è custodito un quadro di Charles March Gere dal titolo “The Tennis Party”. Il dipinto, datato 1900, ci riporta in un mondo lontano, un universo parallelo dove il tennis è una lunga vacanza in una dimora di campagna.

Charles March Gere, The Tennis Party, dettaglio, 1900

Nel giardino di una villa un gruppo di persone si sono date appuntamento per trascorrere uno spensierato pomeriggio estivo: si chiacchiera, si flirta, si ozia e si gioca a tennis. I personaggi ritratti sono tutti amici o membri della famiglia dell’artista, il luogo scelto per il convito è Lemington Spa.

L’opera è un superbo saggio di eleganza edoardiana; relegando l’azione sullo sfondo, l’autore si concentra sui quattro giovani in primo piano, immersi in un piacevole break. Al centro troneggia un tavolino in stile coloniale con appoggiati una caraffa e dei bicchieri. Il colore della caraffa suggerisce la presenza al suo interno di Pimm’s e limonata, bevanda alla moda tra le élite inglesi e, ancora oggi, il classico drink servito a Wimbledon; a riprova che in Inghilterra le tradizioni sono dure a morire!

Questa è l’immagine di un’epoca felice, in cui il tennis veniva praticato dai dilettanti. Un tennis puro, fine a sé stesso, dove il risultato era molto meno importante rispetto al fatto di poter partecipare. 

Bastava solo una racchetta, una pallina e tanto fair play: un codice di condotta non scritto basato sulla lealtà e sulla correttezza, che viene ancor prima delle regole; un valore sacro, da difendere contro il perfido dilagare di un tennis professionistico, un tennis alla mercé del denaro che non fa distinzioni di classe o di ceto. Ma quando si scatenò la rivoluzione furono i signori di Wimbledon i primi a piegarsi alle leggi del mercato, inaugurando l’era Open. Avevano ben inteso che bisognava cambiare tutto perché tutto rimanesse uguale.

“Puoi arrivare a Londra essendo il N. 1 del mondo, ma nessuno pensa che tu sia qualcuno finchè non hai vinto Wimbledon. Si comportano come se avessero il più grande torneo del mondo. E hanno ragione, ce l’hanno. È proprio questo.” (Pete Sampras)

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