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Fredi Radojkovic, la pallamano oltre i confini

di Ilvio Vidovich

Un argomento di cui si parla con regolare frequenza in campo sportivo sono i grandi risultati ottenuti in tantissime discipline dalla Jugoslavia prima e dai vari stati nati dalla sua dissoluzione poi, soprattutto in considerazione del fatto che parliamo di un insieme di paesi che conta complessivamente meno di venti milioni di abitanti, circa un terzo dell’Italia. Tra queste vi è anche la pallamano, che da sempre parla gli idiomi dei Balcani occidentali. Ricordiamo infatti che ai suoi tempi la Jugoslavia conquistò due ori ed un bronzo alle Olimpiadi ed un primo ed un secondo posto ai Mondiali in campo maschile, un oro ed un argento olimpico, un titolo e altre cinque medaglie (tre di argento e due di bronzo) ai Mondiali in quello femminile. Dopo la dissoluzione dello stato jugoslavo, ad oggi si contano, sommando i risultati degli stati post-jugoslavi, due titoli ed un bronzo ai Giochi Olimpici, un titolo, due secondi e due terzi posti ai Mondiali in campo maschile, un argento olimpico, un argento ed un bronzo mondiale nel femminile.

Il suo contributo all’ampliamento di questa bacheca lo ha dato anche la Slovenia (di cui, peraltro, di recente qui su RdO Sport abbiamo raccontato del trionfo all’ultimo Tour de France), che a livello maschile ha ottenuto grandissimi risultati, tra i quali spiccano il 2° posto agli Europei del 2004 e soprattutto il 3° posto ai mondiali 2017 in Francia.

Per capire un po’ i motivi che consentono ad un paese di poco più di 2 milioni di abitanti, un trentesimo di quelli dell’Italia, ma soprattutto ad un movimento con un numero di atleti tesserati (ad oggi circa 7.500) che è poco più di un quinto di quello italiano (nel 2017, dati Coni, all’incirca 33.000), di ottenere risultati al momento nemmeno immaginabili per la pallamano azzurra, abbiamo intervistato un addetto ai lavori che conosce molto bene la pallamano slovena, ma anche quella italiana: l’allenatore sloveno Fredi Radojokovic, già ct della nazionale italiana maschile.

Primo piano di Fredi Radojkovic, ex allenatore della nazionale italiana di handball

DAGLI INIZI ALL’ESPERIENZA TRIESTINA: TRE ANNI (BELLI) SULLE MONTAGNE RUSSE
Radojkovic, classe 1966, ha dovuto abbandonare relativamente presto, a soli 27 anni, l’attività agonistica a causa dei ripetuti infortuni, iniziando così da giovane, poco più che trentenne, la carriera di allenatore proprio nel club della sua città, Isola d’Istria, quello nel quale era cresciuto. E dove cresce anche come coach, tanto da passare poi alla guida della squadra della vicina Capodistria, militante nella massima serie slovena, e ricoprire anche il ruolo di selezionatore della nazionale juniores slovena, con cui conquista un settimo posto ai Mondiali di categoria. Arriva così il primo confronto con la pallamano italiana, con il passaggio ad un club storico della penisola: la Pallamano Trieste. Quelli nella città giuliana, distante solo pochi chilometri da confine sloveno e dal Isola, sono anni che il coach sloveno (nota: Fredi fa parte della alla minoranza linguistica italiana in Slovenia, quindi la sua lingua madre è l’italiano) ricorda con piacere: “Una grande organizzazione, da questo punto di vista non aveva niente da invidiare alla Slovenia, anzi. Di quegli anni ricordo con piacere il rapporto con il presidente Lo Duca, una vera leggenda della pallamano italiana che però, nonostante la sua esperienza e conoscenza, ha sempre rispettato i ruoli e non si è mai intromesso nelle questioni tecniche. E posso assicurare che non è una cosa scontata “. In particolare, il ricordo va alla grande passione e all’attaccamento del pubblico triestino. “Per il pubblico era importante che noi della squadra dessimo sempre tutto per la maglia. Potevi vincere o perdere, ma quando vedevano questo, i tifosi triestini, da veri appassionati della pallamano, erano sempre vicinissimi alla squadra. Sono stati anni bellissimi da quel punto di vista”. 

Il colombiano Restrepo al tiro gol  in un match della serie A italiana (©rdophoto)

Purtroppo la situazione economica del sodalizio giuliano non va di pari passo con i risultati della squadra. Nel primo anno con Radojkovic in panchina la Pallamano Trieste è terza nella massima serie, perdendo in semifinale dei play-off con i futuri campioni del Casarano, ma deve rinunciare e ripartire da due categorie inferiori. Non di certo una prospettiva interessante professionalmente per un allenatore 40enne in ascesa, com’era all’epoca. Ma il fatto di trovarsi comunque in un ambiente ricco di storia e passione e soprattutto la possibilità di continuare a lavorare in un certo modo gli fanno accettare la sfida. “Con Lo Duca ero stato chiaro. Io rimango, importante che continuiamo a lavorare in maniera professionale. Perché per me non conta la dicitura “professionista”, ma l’essere professionale nel lavoro che fai. E così è stato”. La squadra ottiene due promozioni di fila, conquistando sul campo il diritto di tornare nella massima serie. Ma, di nuovo, i problemi economici costringono la società a rinunciare alla promozione. E qui le strade di Radjkovic e Trieste si separano. “Avevo un gentleman agreement con Lo Duca. Sarei andato via solo se fosse arrivata un’offerta da Capodistria”. E l’offerta della squadra del litorale sloveno, in quel momento ai vertici della pallamano slovena (“Considera che ai tempi il budget del Koper era superiore a quello attuale del Celje, la squadra che sta dominando da anni il campionato sloveno), arriva.

Un immagine del campionato di serie A. La pallamano in Italia non manca certo di spettacolarità (©foto di Roberto Dell’Olivo)

IL GRANDE RITORNO: IL TRIPLETE A CAPODISTRIA
Fredi si siede sulla panchina capodistriana a partire dalla stagione 2009/10 e l’anno dopo conduce la sua squadra ad un’impresa storica, il “Triplete” campionato-coppa nazionale-Challenge Cup Europea. L’anno successivo ottiene un altro grandissimo risultato, arrivando sino ai quarti di finale della Champions League e sfiorando l’accesso alle Final Four, eliminata per differenza reti nella sfida contro l’Atletico Madrid. Per capire il significato di quel risultato per la pallamano di quelle zone, e anche e soprattutto l’interesse che c’è per la pallamano, riportiamo un aneddoto raccontatoci da Fredi durante l’intervista. “Ho una casa in Istria, nel paese di origine dei miei, dove trascorro spesso i weekend, e quell’anno quando passavo il confine ogni volta i poliziotti, sia croati che sloveni, mi guardavano perplessi… per poi dirmi immancabilmente: “Ma tu sei l’allenatore del Koper di pallamano che gioca in Champions League, vero? Guardo le vostre partite”. 

Poi la crisi dello sponsor Cimos (storica azienda della zona del settore della componentistica per automobili) travolge la squadra capodistriana, che fallisce e deve ripartire dalla terza serie slovena (“Sono capitato sempre al momento giusto” commenta ironicamente il coach isolano, ricordando la precedenza esperienza triestina) e a quel punto a Fredi si prospetta una nuova sfida professionale: la guida della nazionale italiana. “Conoscevo l’ambiente, sia per l’esperienza triestina, sia perché avevo allenato la nazionale slovena under 21 prima di andare a Trieste. E in quel momento, dopo quanto accaduto a Capodistria, avevo bisogno di cambiare, di fare un’esperienza tutta nuova”.

Smistamento della palla in attacco per il PSG nel campionato francese 2020-21 (©foto di Roberto Dell’Olivo)

LA PANCHINA AZZURRA: IL BELLO DOVEVA ANCORA VENIRE
Qui iniziamo a vedere con Fredi le differenze tra i due movimenti, anche considerando quanto accaduto in quegli anni. A partire dal lavoro di scouting, che per Fredi era (ed è) essenziale. “Portai in nazionale, che fino a in quel momento era un po’ un ambiente autoreferenziale, dei ragazzi giovanissimi, del 1998 e del 1999. E dopo averli visti giocare, in tanti mi dissero, entusiasti e sorpresi: “Ma dove li hai trovati?” Ecco, appunto, bisogna andare a trovarli… ma ci sono, la base in Italia c’è, i numeri ci sono”. 

Parlando di quella esperienza, non si può non parlare di come sia finita. E forse anche questo può avere a che fare con quelle differenze che stiamo cercando, anche se Fredi in realtà ci racconta semplicemente quello che è accaduto. “La storia è nota nell’ambiente, non dico nulla di nuovo. Al termine del primo mandato, il contratto per il rinnovo per il successivo quadriennio era già pronto ed eravamo già pronti a firmare, ma alle elezioni federali cambiarono i vertici e di conseguenza, pur apprezzando il mio lavoro ed i risultati ottenuti, per motivi “politici”, perché ero un nome legato alla passata gestione, il mio contratto non venne rinnovato”. Dalle sue parole traspare un po’ di amarezza, ma non per il mancato rinnovo in sé, ma per non aver avuto la possibilità di finire il suo lavoro. E soprattutto, da addetto ai lavori con una enorme passione per il gioco –  che vi assicuriamo si è percepita intensamente durante tutta l’ora della nostra intervista con il coach isolano –  per non averlo visto capitalizzato da chi l’ha sostituito. Al riguardo Fredi effettua semplicemente un confronto dei risultati, ricordando come nel gennaio 2017 con lui in panchina l’Italia vince il Gruppo C di qualificazione al campionato europeo 2020, raggiungendo un passaggio al secondo turno che mancava dal 2004. “In quell’occasione, nel novembre 2016, abbiamo battuto la Georgia in casa, con sette gol di scarto, e subito dopo anche in trasferta. Quest’anno, nelle qualificazioni ai Mondiali, la Georgia li ha battuti in casa per tre gol. Io mi chiedo come sia possibile…”

La nazionale italiana dopo la qualificazione alla seconda fase dell’Europeo – gennaio 2017 (Fonte: Archivio personale Fredi Radojkovic)

MONEY MAKES THE WORLD GO ROUND? A VOLTE SÌ, A VOLTE NO
Tornando alle differenze tra i due movimenti, conta meno di quanto si creda l’aspetto economico, dato che i budget delle migliori società italiane non poi così inferiori rispetto a quelli della media della Prima Lega slovena (“Con 400/500mila euro sei ai vertici del campionato di Serie A. In Slovenia solo il Celje, che ha un budget che è circa il doppio, supera queste cifre”). Conta però se ci si confronta con l’élite europea, con tutte le conseguenze che ne derivano. Perché in tutti gli sport cresci se ti confronti con i migliori, ma se non hai le disponibilità economiche per far venire i migliori da te… Un discorso che vale perciò anche per la stessa Slovenia. “I budget dei top club europei sono dieci volte quelli del Celje. Oggi come oggi è impossibile che il Celje vinca la Champions League, come fece nel 2004, la distanza è enorme”. Per capire quanto enorme, ma anche come questi budget sono spesso collegati esclusivamente alle possibilità economiche dello sponsor o del tycoon di turno, con tutte le potenzialità ma anche i rischi del caso, per restare nei Balcani basterà fare l’esempio del Vardar, la squadra di Skopje, la capitale della Macedonia del Nord. La squadra macedone era stata acquistata nel 2013 dal magnate russo Sergey Samsonenko, che a furia di investimenti l’ha portata ai vertici della pallamano europea, tanto da conquistare due delle ultime tre edizioni della Champions League, nelle stagioni 2016-17 e 2018-19 (l’edizione 2019-20 a causa della pandemia ha costretto a posticipare le Final Four a fine dicembre). Un exploit incredibile – e qui vediamo la parte delle potenzialità – per una società che prima dell’avvento di Samsonenko in campo europeo era riuscita a raggiungere in tre occasioni esclusivamente le semifinali della defunta Coppa delle Coppe, un tempo la seconda competizione europea per club riservata alle squadre vincitrici delle coppe nazionali. Ma Samsonenko – e qui passiamo al discorso sui rischi – ha lasciato la società proprio alla fine della stagione 2018-19, un disimpegno preannunciato un paio di mesi prima e di cui già si avvertivano da un po’ i primi inquietanti segnali, dato che la Champions League è stata vinta con i giocatori che non ricevevano gli stipendi da alcuni mesi. Il Vardar ora si trova in grossissime difficoltà economiche – sebbene sembra che Samsonenko si sia comunque impegnato a saldare i debiti pregressi derivanti dalla sua gestione, in particolare quelli con i giocatori – e con la squadra completamente rivoluzionata, dato che già ad inizio 2020 diversi top player, che nuovamente si sono ritrovati per mesi senza stipendio, si sono accasati in giro per l’Europa.

L’esultanza dopo un gol di Nikola Karabatić, terzino del Paris Saint-Germain e della Nazionale di pallamano francese, con cui ha vinto 2 olimpiadi, 4 mondiali e 3 europei (© foto di Roberto Dell’Olivo)

UNA QUESTIONE DI SCUOLA
Ed è valle di queste considerazioni che Fredi ci spiega quale sia la vera differenza, il fattore che permette ad un movimento piccolo e con risorse comunque limitate come quello sloveno di ottenere comunque risultati di rilievo in campo internazionale (l’ultimo solo due anni fa: il titolo europeo under 20 maschile): “La differenza è nella scuola tecnica, la Slovenia ha una scuola tecnica, l’Italia no.” Una scuola tecnica che la pallamano slovena ha anche “formalizzato” attraverso la creazione di una associazione che riunisce i propri allenatori, con l’obiettivo di avere una visione ed un indirizzo comuni nello svolgimento della professione e nello sviluppo e nell’insegnamento di questo sport. Ed era anche quello che volevo sviluppare da ct della nazionale italiana, suddividendo l’Italia in sei macroaree, con un responsabile tecnico, in modo da formare i tecnici che a loro volta avrebbe allenato e fatto crescere i giocatori secondo un modello di lavoro. Come spesso capita in questi casi, appena mi hanno sostituito questa impostazione è stata accantonata. Ma sembra che stiano tornando sui loro passi e questo è un bene”.

Fredi Radojkovic (Fonte: Twitter)

L’OGGI E IL RISCHIO DEL DOMANI
Oggi, il presente di Fredi è la sua società storica, l’Izola
. Dov’è tornato nel 2018, a oltre tre lustri dall’ultima volta in cui si era seduto su quella che era stata la sua prima panchina. E dove ha centrato subito la promozione nella massima serie slovena, a dimostrazione che non sempre nemo proheta in patria. “Quando sono tornato, ho spiegato alla dirigenza del club il mio progetto, ed è stato condiviso. Bisogna ragionare sul lungo termine. Una società come la nostra deve basarsi sul prodotto del vivaio, quindi è necessario far crescere bene i giovani. Perché sono loro che devono essere in futuro l’ossatura della prima squadra, il 70-80% dei giocatori deve arrivare dal vivaio. Poi un paio dei migliori li dovrai vendere, ma così potrai avere le risorse per continuare, per autofinanziarti e continuare su questa strada, crescendo. Una società come la nostra, con un budget limitato, deve ragionare così. Ma per fare questo non si deve avere fretta, ci vuole programmazione. A tutti i livelli”.

E qui c’è un punto dolente, che sembra valere sia in Slovenia che in Italia. “Spesso si punta al risultato subito, alle vittorie a livello giovanile. Invece l’obiettivo deve essere far crescere i ragazzi, soprattutto tecnicamente, per permettere loro di diventare dei giocatori completi. Io oggi mi ritrovo, in certi casi, a dover allenare i giocatori più giovani su certi fondamentali che dovrebbero essere ormai acquisiti, non deve essere il coach della prima squadra a dover ancora fare quel lavoro. C’è inoltre un altro aspetto che preoccupa il 54enne allenatore sloveno, che lui forse riesce a cogliere con più attenzione anche per il fatto di essere un insegnante di educazione fisica a livello di scuola superiore. “Purtroppo vedo poca passione. I ragazzi vengono a giocare perché portati dai genitori che vogliono facciano un po’ di sport, non per reale interesse. Se chiedo a molti di loro chi è l’allenatore della nazionale slovena, non lo sanno! Una volta era inimmaginabile, se venivi a giocare sapevi tutto di quello sport, era la passione che ti spingeva, non i genitori… Ecco, questo alla lunga può diventare un problema per un paese piccolo come la Slovenia”.

Un problema che crediamo proprio non avranno i giovani che avranno l’opportunità di lavorare con Fredi, perché sicuramente riuscirà a trasmetterà loro un po’ dell’enorme passione che ha per lo sport della pallamano. Passione che continua ad alimentare il lavoro, le ambizioni e gli obiettivi del coach nativo di Isola. Tra questi, probabilmente, anche quello di tornare su una panchina di una nazionale per coronare quello che da sempre sappiamo essere un suo sogno: le Olimpiadi. “In questo momento sto bene qui, ad Isola. E poi il tempo passa… Anche se i sogni si inseguono, sempre”.

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