Il Roland Garros dei quattro moschettieri
Il mio primo Roland Garros risale all’anno 2000 quando comprai un biglietto per il Centrale con in campo tra i tanti Mary Pierce, che poi vinse quell’edizione (l’ultima francese a riuscirci) e Pete Sampras, l’ex numero uno americano che non vinse mai Parigi e che in quell’edizione incappò al primo turno nello scatenato Mark Philippoussis, perdendo al quinto set 9-7. Tanta fu la soddisfazione di vedere dal vivo un tennis così bello che da quel momento non ho più abbandonato lo slam francese.
Che conosco ormai in ogni angolo grazie anche a Catherine, la sorella di Gerard, il marito di mia cugina Nathalie. Catherine all’epoca lavorava per l’Alcatel, uno degli sponsor del Roland Garros, e quando qualche cliente dava buca all’ultimo momento riusciva a farmi entrare nelle logge, ovvero a bordo campo. Andrè Agassi, Justine Henin, Guga Kuerten, solo per fare qualche nome di campioni visti da vicino.
Le prime partite perse da Federer, oppure semplicemente qualche italiano in rampa di lancio come Starace che perde al quinto da Safin, o Volandri che sul Court numero uno battaglia con Moya ed io che riesco ad entrare senza avere il biglietto per quel campo. Potrei andare avanti a lungo con molti aneddoti, fino a quando eccomi entrare al Roland Garros da un ingresso privilegiato, come fotografo accreditato per la testata giornalistica del gruppo QS Quotidiano Sportivo.
La cosa più bella fu comunque quella di incontrare nuovi amici appassionati di tennis, che continuano ad essere tali, appassionati e amici, anche a distanza ormai di qualche anno. Come Antonio Garofalo, un avvocato napoletano tanto caro ad Ubaldo Scanagatta, l’inventore di Ubitennis, al punto da diventare per lui come uno dei moschettieri di Francia, insostituibile. E poi c’è il ferrarese Ruggero Canevazzi, uno che ti aspetti che tenga per la Spal ed invece ama follemente la Juventus, oltre ovviamente al tennis, meno la Francia, ma dobbiamo perdonarlo. Poi un giorno arrivò anche un uomo dei Balcani, Ilvio Vidovich originario di Capodistria ma residente a Triesere, ben dopo il primo successo parigino di Djokovic. E così si compose una sorta di Quartetto Cetra, in cui l’amica Laura Guidobaldi aveva deciso di restare nel gruppo solo per andare a mangiare nel suo ristorante preferito, dove peraltro abbiamo incontrato grandi personaggi. Perfino il presidente Sarkozy e per fortuna che quella volta non c’era Canevazzi, altrimenti chissà cosa sarebbe potuto succedere.
Ecco, quest’anno ci ritroviamo invece di nuovo tutti insieme qui sul sito RDOSPORT a rivivere i nostri Roland Garros.
Vi lascio così ai racconti dei miei cari amici moschettieri de l’Ile de France.
Ruggero Canevazzi: Mamma che ricordi all’ombra della Tour Eiffel! Negli ultimi anni al Roland Garros ne sono successe di cose.
Intanto per i colori azzurri, l’impresa di Cecchinato sembra destinata a rimanere un exploit isolato, ma ragazzi che exploit! Italia alle semifinali Roland Garros 40 anni dopo l’ultima volta, con Barazzutti, ma soprattutto in un’edizione in cui i francesi fecero pena. Che goduria! E che emozione vivere a 3 metri l’impresa di Ceck che batte Djokovic, su quel gioiello del Suzanne Lenglen! Bello anche il ricordo di un’azzurrina emergente. Ti ricordi Antonio quando andammo a seguire Elisabetta Cocciaretto? Tu perché obbligato, io perché era contro una francese e volevo tifare per l’Italia contro l’odiatissima Francia. Mi ricordo quando ti cadde sotto le tribune quella moneta da due euro, che non riuscisti a recuperare. “Dimmi te se vedere la Cocciaretto mi deve costare due euro!”. Dopo però hai benedetto quel’ ”investimento”, la ragazza sta mantenendo le promesse. Come al solito, allora ti lamentavi dei due euro e ora ti vanti quasi di averla scoperta tu, Antonio che chiagne e fotte…
Antonio Garofalo: Ma che ne sai tu Ruggero…io ho vissuto il Roland Garros prima e dopo il Bataclan e l’incubo della “Palpation” all’ingresso. Come dimenticare il primo giorno di torneo con i controlli con Gianni Clerici bloccato in fila sotto la pioggia, quando gli chiesero di togliere il cappello per controllare quale arma di distruzione di massa nascondesse e lui decise da ultra ottantenne di sedersi a terra per protesta!
Ruggero Canevazzi: Appunto la pioggia, come quel mattino che partimmo per Porte d’Auteuil consapevoli di andare là per niente. Maledimmo i francesi (atto mai sbagliato, peraltro) per l’assenza del tetto. Robe da matti, era il 2018 e il Roland Garros era l’unico Slam senza campi coperti. A Wimbledon stavano facendo il tetto sul Campo 1, a Melbourne di tetti ne avevano tre (sopra Rod Laver Arena, Margaret Court Arena e Melbourne Arena), a New York il tetto aveva debuttato nel 2016.
Ora finalmente ce l’hanno e… lo devono usare a tutti i costi, pazienza se una pandemia devasta il mondo. Vedremo se a Ottobre lo faranno davvero questo Roland Garros, e come soprattutto.
Antonio Garofalo: Chissà se lo faranno ma, insomma, prima o poi torneremo a Parigi! Prenderemo di nuovo quello splendido appartamento a Malakof? In c…al mondo? Ilvio nella camera dei signori, io nella camera dei bambini, Roberto in soggiorno e Ruggero nel ripostiglio. Senza Wi-fi, con una chiave e senza citofono…e quindi il nostro ospite/amico giornalista di Eurosport che tornava alle 4 di mattina puntualmente ci svegliava per poter entrare. Nei miei 5 Roland Garros ho soggiornato un po’ ovunque, in posti improbabili e non, in giro per la Ville Lumier…ma nulla in confronto con l’esperienza di condivisione del 2018. Come li ho coccolati i miei compagni di viaggio! Ogni mattina li svegliavo con l’aroma di un caffè napoletano, ovviamente frutto della moka portata da Napoli. E con quella carica di energia, eravamo subito pronti a lanciarci nei meandri e nei viali del Roland Garros.
Ilvio Vidovich: Allora, intanto precisiamo che a scegliersi il ripostiglio a Malakoff era stato Ruggero, così non avrebbe rischiato di condividere la stanza con altri. Onore al suo spirito di adattamento, comunque. Verissimo che la mia era la stanza più bella, ma è anche vero che in quella stanza non ci sarebbe stato lo spazio necessario per disporre per bene le quindici (quindici!) camicie che Antonio si era portato da Napoli insieme alla moka. Però è vero, come ci hai coccolati con il caffè partenopeo appena svegli! Anche perché la carica mattutina della caffeina era fondamentale, considerato che andavamo a dormire verso le due, quando l’ultimo di noi (“Uno per tutti, tutti per uno” fino in fondo, sennò che razza di moschettieri saremmo stati?) finiva di registrare il podcast con Vanni, che ci chiamava dal Canada. E poi via, verso Bois de Bologne. Certo, se adesso penso che quando ci torneremo non ci sarà più il bellissimo campo uno, con la zona riservata alla stampa ad un paio di metri dal terreno di gioco, dove nel 2018 ho visto l’ultimo match giocato da Francesca Schiavone al Roland Garros e lo scorso anno ho potuto “sentire” il rumore dei colpi di Wawrinka quando colpisce a tutto braccio (e così ho capito fino in fondo perché quando era in giornata poteva demolire chiunque, compreso il Djokovic del 2015), che nostalgia.
Ruggero Canevazzi: Sarà la nostalgia, ma del vecchio impianto amavo anche la piantina. Era un triangolo rettangolo come a scuola durante le amate lezioni di geometria. Non sarebbe male prepararsi al match tra la testa di serie Pitagora e il suo ex sparring partner in cerca della consacrazione definitiva, al secolo Euclide. Almeno Tsitsipas avrebbe più concorrenza interna. Appena oltrepassata la direttrice principale che collegava il Suzanne Lenglen con l’imponente Philippe Chatrier, ogni riferimento cartografico però scompariva: non aveva senso passeggiare col capo chino sulla mappa, qualunque immagine era imperdibile e tutti i sensi venivano solleticati. Camminando paralleli al vialone principale che costeggiava la tribuna Lacoste del Centrale (l’appena citata direttrice, il Grande Allée Marcel Bernard, autentico crocevia di esistenze dal minimo comune denominatore che ruota attorno alla pallina di feltro), un giorno anzichè mescolarci tra la folla, girammo a lato dei cancelli neri – molto in stile Gran Bretagna, come il verde che porta all’entrata – in direzione ostinata e contraria rispetto al pubblico che continuava ad accorrere. Il nostro obiettivo era carpire i dietro le quinte, passando dietro le imponenti attrezzature delle TV di mezzo mondo.
Non era difficile così imbattersi senza averlo previsto nei profumi del Ristorante (mensa sarebbe troppo proletario per Le tournoi de Porte d’Auteuil, i francesi e la loro grandeur, lasciamo perdere). Il taglio di bovino copriva inevitabilmente il più delicato agnello, folature al curry si materializzavano sotto il naso mentre cercava inutilmente di fare capolino un tenue profumo di salmone (rassegnato a manifestare, seppure da morto e cucinato, un’inutilità autorevole e malinconica nel regno della gotta dei pronipoti di Luigi XIV). Le cucine, effettivamente, avevano una qualità di livello coerente con lo Slam rosso e noi giornalisti accreditati avevamo una graditissima diaria di 11 euro. Guai però farsi tentare. Chi si faceva ingolosire – magari reclamando un po’ di frutta in mezzo a tanti grassi e proteine – lo pagava a caro, carissimo prezzo. Una buona macedonia richiedeva sei sanguinosi euro, se non avessimo avuto la copertura dell’organizzazione per un piatto di agnello e due cucchiai di frutta avremmo dovuto sborsare 17 euro. Molto meglio tenersi stretto l’inatteso gesto di generosità rispetto all’anno scorso, quando il torneo offriva 10 euro e per un corposo secondo da 11 euro toccava elargire lo scomodissimo – e infame – euro di rappresentanza. Perché infame? Perché non c’era niente che poteva sfamare sotto gli 11 euro. Maledetti francesi! Che ricordi però.
Philippe Chatrier Roland Garros 2019
Antonio Garofalo: Beh ma come puoi dimenticare le cene a mezzanotte dagli unici bistrot aperti nei pressi di Porte d’Auteuil? Vabbè che alla fine cedevamo alla nostra compagna di viaggio Laura Guidobaldi e finivamo col cenare italiano…a Parigi! Da Alberto o dalla Pizzeria d’Auteuil (anche se io, orgogliosamente, ho sempre rifiutato di assaggiare la pizza!)
Ilvio Vidovich: Ricordo anche una cena in Place du Tertre, la storica piazzetta degli artisti nel cuore di Montmartre, l’unica sera in cui siamo riusciti a non fare notte in sala stampa, credo il sabato dopo la finale femminile vinta da Simona Halep (quando poi in conferenza stampa disse: “Qualche volta avevo offerto io i biglietti ai miei connazionali, ma questa volta sono venuti da soli” rispondendo alla domanda sui tanti tifosi romeni sulle tribune dello Philippe Chatrier. Scusate la divagazione, ma sapete com’è, per alcuni anche la Romania fa parte dei Balcani). Con Antonio ed io, che per un millesimo di secondo abbiamo creduto di essere diventati famosi, quando rientrando a piedi abbiamo sentito un “Ma voi siete Garofalo e Vidovich di Ubitennis?” In realtà non era un assiduo lettore delle pagelle di Antonio e dei miei racconti balcanici, bensì un altro collaboratore di Ubitennis, in vacanza a Parigi (ovviamente nel periodo del Roland Garros).
Antonio Garofalo: E come dimenticare poi le finali di Champion’s viste tutti insieme allegramente nei locali parigini? Soprattutto una, quella vinta dal Real 4-1 e persa non ricordo da chi…Con il mitico Gianni Clerici che, pur fregandosene altamente del football e degli italopitechi, offrì champagne a tutti perché “In fondo gli Agnelli non mi sono mai stati simpatici”, per concludere la serata con quello che sarà l’epitaffio sulla tomba di Canevazzi: “Mi ricordi un po’ Fognini, fai attenzione a te stesso”.
Insomma si lavora, si corre ma soprattutto ci si diverte e ci si prende in giro a vicenda per il gusto di condividere due settimane indimenticabili.